GRAFFITI-STREET ART

GIRO PER LE STRADE DELLA MIA CITTA , LE STRADE DELL'ITALIA, E QUALCHE STRADA DELL EUROPA , E OGNI VOLTA RIMANGO INCANTATO DA QUEST'ARTE . E MI CHIEDEVO DA DOVE NASCE ?.Nell'America fine anni Sessanta un ragazzo di New York in meno di un anno gira tutto lo Stato lasciando, con il nome d'arte "Taki 183", circa 300 mila firme. Qualche mese dopo Taki è lanciato agli onori delle cronache dal New York Times che pubblica un articolo intitolato "Chi è Taki?". La moda di lasciare la propria firma inizia così. I graffiti iniziano così, con una scritta semplice, solo il contorno di lettere. Tutta la creatività si concentra nella rappresentazione dell'alfabeto.Il popolo dei graffitisti nasce così dalla periferia urbana prevalentemente nera o ispano-americana dei quartieri degradati del South Bronx. I "tags" (così vengono chiamate in gergo le firme dei graffitisti) si sviluppano soprattutto nelle metropolitane dove transitano un gran numero di persone. E' subito chiaro che il graffito è strettamente legato alla metropoli e al disagio metropolitano infatti molti artisti anonimi avevano scelto i grandi spazi lasciati vuoti dal degrado urbano o dalle strutture d'uso della città (metropolitana) per esprimere una loro idea di plasticità e decoro. Dopo qualche anno - siamo già alla fine degli anni Settanta - si passa ai muri. E il disegno diventa più complesso e articolato. l’arte del graffito risponde ad un’autentica esigenza espressiva, alla rivendicazione di un proprio diritto alla parola. Il graffito contrappone all’impersonalità e all’oggettività dello stile adottato dai “bianchi” una modalità espressiva cromaticamente aggressiva. Le pareti ed i convogli della metropolitana diventano il supporto ideale per i colori industriali utilizzati per rappresentare i colori della vita, accesi e sbiaditi al tempo stesso, a volte sovrapposti gli uni agli altri come manifesti sui pannelli. I muri sono decorati con un linguaggio grafico fatto di immagini e parole - slogan politici, frasi erotiche, richiami ermetici - tracciate con bombolette spray, che danno vita ad un intreccio tra le forme d’arte più disparate.  I turisti europei colpiti da questo fenomeno lo importano in Europa. Sono nati anche  per sfidare la legalità e l'ordine metropolitano. I graffiti sono diventati un'emergenza per le maggiori capitali del mondo. Tra criminalizzazione e integrazione, le amministrazioni metropolitane devono fare i conti con le bande, i teppisti, gli artisti. New York, Parigi e Londra hanno messo a disposizione vecchi muri e palazzi dove si possono realizzare i graffiti. Ma il problema resta perché i tags non possono essere recintati ed invadono continuamente spazi. Ogni anno i bilanci comunali devono destinare svariati miliardi per pulire strade e metro. A Los Angeles, è stato creato un distretto di polizia incaricato proprio di lottare contro i graffiti. Si chiama TAGNET, ovvero "tagger and graffiti network enforcement team", ed è un gruppo di repressione capace di decifrare e scovare i graffitisti di tutto il Sud California. In Italia, il pubblico dei graffiti è diviso. "Arte o crimine? Giudicate voi" è scritto su un muro della stazione San Pietro di Roma. A Milano nel '94 sono stati devoluti ben quattro miliardi per ridipingere i muri "bombardati". Due anni fa, il ministro ai Beni culturali Alberto Ronchey, aveva ingaggiato una sua personale battaglia presentando un apposito disegno di legge contro questa forma di "vandalismo". Nel giugno '94 un pretore del tribunale di Milano ha invece assolto due giovani accusati secondo i termini giuridici, di "avere imbrattato con l'uso di vernice spray le gallerie della fermata metropolitana di San Donato". Per il giudice "il fatto non sussisteva". Indirettamente il pretore ha riconosciuto il valore artistico dei disegni dipinti costringendo ad un clamoroso dietrofront l'azienda municipali di trasporti, l'Atm. Per tutta risposta le ferrovie del capoluogo lombardo (che ogni anno spendono 6 miliardi per ripulire i treni) hanno invece organizzato nell'estate '95 un'insolita iniziativa: ad una decina di writers è stato permesso di dipingere interamente due vagoni ferroviari. Qualche mese prima, il museo della Scienza della Tecnica di Milano aveva esposto immagini e tele di famosi graffitisti.I graffiti ritornano nel ghetto? Passato il decennio dell'immagine, i discorsi iconici formulati con pennarello, spray, vernici istantanee, colori acrilici, aerografi, tornano ad essere un fenomeno mediatico, sociologico: non più arte. Perché lo sono stato, un fenomeno artistico, quei lampi multicromatici sul grigiore del cemento di periferia o sulle lamiere della metropolitana. La storia di vent'anni di clandestinità e illegalità, subisce una svolta a metà degli anni Ottanta, quando la "Graffiti Art" decolla sotto l'ala protettrice dell'onda hip-hop newyorkese. Giovani ribelli, i writers perseguitati vengono adottati dal grande business e entrano nel circuito di gallerie e musei. Keith Haring e Jean Michel Basquiat, due vite simbolo di quella cultura urbana alternativa immaginata nella Graffiti Art, ma anche nel rap e nella break dance (che poi sono l'altra faccia della stessa medaglia: il pop), diventano delle star. "Sarebbe stupido relegare l'arte nei musei" dice Haring nell'81. Ma già un anno dopo, l'enfant terrible americano espone alla Shafrazi Gallery e organizza assieme ai suoi amici Kenny Sharf, John Sex, Basquiat, ai Futura 2000 e LA 2, mostre nella discoteca Club 57, rassegne al Time Square, al New York Museum e al Ps One Museum. Nel '86 Haring inaugura il suo "New York Pop Shop", un negozio che vende graffiti stampati su orologi, magliette, poster, felpe e gadget d'ogni tipo. Le firme dei grafittisti, i "tags", rimbalzano dai muri di strada ai salotti. Lo spirito underground e trasgressivo scompare per lasciare spazio a mondanità e spettacolo. Haring organizza delle vere e proprie esibizioni, anche in Italia, in cui migliaia di seguaci assistono alla creazione dei suoi affreschi a ritmo di musica rap. Non c'è più bisogno di scappare. Al posto dell'illegalità, del Bronx, dei poliziotti, delle multe - della paura - c'è un universo accogliente, la Factory artistica di Andy Wharol, guru del pop e grande padrino dell'avanguardia artistica anni Ottanta. Le capitali sono invase da queste moderne opere d'arte estemporanee. Ma presto il processo di museificazione batte in velocità l'artista. Finendo per ammazzare l'opera. Nell'88 e nel '92 muoiono Basquiat e Haring. La parabola della sfida - alla città e alla comunicazione urbana - si conclude.

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